“A shallow magnitude 4.7 earthquake was reported Monday morning five miles from Westwood, California, according to the U.S. Geological Survey. The temblor occurred at 6:25 a.m. Pacific time at a depth of 5.0 miles.”
“Kitty couldn’t fall asleep for a long time. Her nerves were strained as two tight strings, and even a glass of hot wine, that Vronsky made her drink, did not help her. Lying in bed she kept going over and over that monstrous scene at the meadow.”
“In truth, I’d love to build some verse for you?
To churn such verse a billion times a day?
So type a new concept for me to chew?
I keep all waiting long, I hope you stay.”
La notizia di un terremoto, un brano da un romanzo, una poesia. Cos’hanno in comune queste frasi? Semplice: non sono state scritte da un essere umano, ma da un computer. Dell’autore della notizia sul terremoto sappiamo anche il nome: si chiama Quakebot, il robo-inviato per i terremoti che ha ‘scritto’ la notizia sul Los Angeles Times pochi secondi dopo l’evento. Lo stesso giornale si avvale di algoritmi anche per scrivere i reportage sugli omicidi.
Secondo un recente articolo del New York Times firmato da Shelley Podolny (anche se del fatto che Shelley sia un essere umano a questo punto è lecito dubitare...) una quantità incredibile di ciò che leggiamo oggi, sui giornali e online, è scritta da algoritmi, e non ce ne accorgiamo. Anche i robo-libri sono una realtà, soprattutto quelli scientifici. I sistemi di ultima generazione sono in grado di setacciare dati e statistiche a disposizione e di ricavarne un libro imitando in tutto e per tutto il processo creativo di una persona. Il risultato finale è praticamente indistinguibile.
Le implicazioni di tutto questo sono decisamente inquietanti. Possiamo però consolarci con il fatto che al contrario dei robo-giornalisti, i traduttori automatici sono ancora molto rudimentali e necessitano dell’intervento umano. Perché da soli combinano disastri monumentali, come quelli che riportiamo a pagina 64.
Aarrgghh!
Rosanna Cassano